Da giovedì scorso tengo ufficialmente un corso di “Exploratory Italian for adults” e sono già stata anche chiamata per la sostituzione di un’altra insegnate per il corso di “Italian for children”, che devo, dire, mi ha divertito molto di piu’.
Per capire il contesto, eccovi gli elementi. Prima di tutto, il posto: Chiesa parrocchiale Saint Leo di Little Italy, Centro di insegnamento degli adulti “Rev. Oreste Pandola” (da qua l’affettuoso nome “Pandola’s school”, che non so come mai ma mi ricorda piu’ “Amici miei” che una scuola di lingue). Essendo la zona una delle più tristi e spoglie della città, non mi aspettavo certo le strutture della Cattolica. Ma dove faccio lezione io il giovedi’ sera sembra proprio di essere stati catapultati indietro di 50 anni, perche’ tutto, l’arredo, l’odore, i torvi personaggi che si aggirano per la grande sala-oratorio sotto la chiesa, corrispondono assolutamente a quelli del mio immaginario sugli emigrati italiani degli anni 50, a cominciare dalle foto in bianco e nero del Vesuvio, quelle delle navi con i dimessi connazionali in arrivo ad Ellis Island, i ritratti di loschi benefattori in posa da “Il padrino”… per finire con le tovaglie a quadretti rossi sui tavoli e le statuette dei santi sui davanzali. Per farvi capire il generale squallore e la malinconia del luogo, vi dico solo che gli altri corsi proposti dal centro, testuali parole dal depliant, sono “Basic Bocce”, “How to make a real Lemoncello” e “Introduction to sausage making”!

La direttrice: Rosalie-Rosalia, una suora laica -italiana come io ho discendenze russe-, e’ molto precisa e orgogliosa del suo lavoro. In effetti offre l’unico modo per i nipoti degli immigrati, di rituffarsi un pochino nella lingua dei loro antenati e nella cultura del loro sangue. Continua a chiamarmi e a presentarmi a tutti come “Dottore Girardi”, sperando che l’uso del titolo mi faccia sentire piu’ nel ruolo e mi rassicura dicendo che quasi mai chi fa il corso base continua in quello avanzato. Io sono andata alla prima lezione (18 partecipanti, tutti americanissimi che non hanno alba, come se disi a Trieste, neanche delle più elementari parole tipo Buongiorno e grazie) preparandomi discorsi in inglese “di scoperta” sulle regioni d’Italia, Verdi, la moda e l’arte, sperando che l’effetto-olimpiadi li avesse fatti appassionare alla musicalità della nostra lingua, ma loro niente: volevano solo sapere perché ogni tanto coi nomi maschili si usa “il” e ogni tanto “lo” e perché certe parole che finiscono con “e” sono femminili e altre maschili. Insomma: regole, regole e regole, come ogni buon americano è abituato ad esigere e a seguire da quando nasce. Sapete bene che in un linguaggio come il nostro (e soprattutto se la grammatica e l’ortografia le hai studiate l’ultima volta con la cara Maestra Bargis in quinta elementare) sono piu’ le eccezioni che ti ricordi… tuttavia non mi sono persa d’animo e ostentando competenza li ho confusi dando la colpa allo storpiamento del latino in epoca romanza ed ai vari dialetti mischiati ad altre lingue, ripromettendomi di imparare a memoria i prossimi capitoli dell’ insostituibile testo “Italiano, prego!” che finalmente Rosalie mi ha consegnato alla fine delle due ore… Comunque conoscere la comunita’ italo-americana e’ interessante, ma fa anche venire una grande tristezza, perche’ oramai quasi nessuno sa parlare piu’ l’italiano ed i piu’ volenterosi, quelli giovani nati gia’ qua da genitore emigrato, non hanno spesso che qualche parola in stretto dialetto calabrese per esercitarsi a casa…
Un po’ sconsolata, ieri mi sono lanciata in macchina al vicino mall in cerca di un paio di scarpe mettibili, visto che tra l’altro qua ieri c’erano 30 gradi. Impresa non facile, dal momento che qua ai piedi si mettono di tutto meno che delle scarpe, preferendo le notoriamente comode (soprattutto per guidare) infradito appena esce un raggio di sole, le “sneakers” da ginnastica di ogni modello e le rassicuranti ciabatte-zoccoli, che vedi ad una persona su due in giro, e’ incredibile… questo fregarsene della moda e delle firme forse gli fa onore, ma ogni tanto non posso proprio credere che non abbiamo nulla di più carino da mettersi che le ciabatte, la tuta a cavallo basso e le T shirt extra large… look che va per la maggiore soprattutto fra la comunita’ nera, e che viene completato con l’uso del cellulare tipo radio della polizia (quasi tutti parlano nel cellulare guardandolo di fronte, con il viva voce, ed ignorano l’uso degli sms), l’andamento da cowboy del Wyoming ed una cup di caffe’ ustionante nell’altra mano. Luigi ed io abbiamo a questo riguardo inventato uno sport, che viene particolarmente bene al mall la domenica pomeriggio seduti sulla panchina di fronte al fast food, di “ciccione-spotting” , trovando sempre nuovi aggettivi per esprimere la nostra repellenza nei confronti dell’obesita’ imperante, soprattutto fra i giovanissimi, ed augurandoci che Luce cresca nana, calva, di carnagione lattea ma non cicciona.
Per accentuare ed esasperare il sentimento di non appartenza a questa comunita’, domenica sera abbiamo festeggiato la nostra amica Alessia per il suo compleanno, facendo una cena tutta italiana ed invitando esclusivamente italiani, con dibattiti in terrazzo sulla campagna elettorale, angoli di ascolto dell’intera discografia di De Andrè e programmazione a maggio di un torneo di pinnacola.


Ora ho scritto troppo e come sempre in maniera sconclusionata. E’ davvero una terapia riassumere per voi tutte le mie sensazioni e immaginare le reazioni. Mi aiuta a sdrammatizzare la’ dove devo ed a riflettere su quello che a prima vista mi fa solo sorridere. Infine, sono contenta che si sono aggiunti vecchi amici alla mailing list, il che mi fa un po’ paura, perche’ ho il terrore che questo lungo racconto, incominciato davvero per puro divertimento, deluda chi è abituato a fare ben altre letture. Non e' certo per fare esercizi di stile, che scrivo, ma per sentirvi piu' qua con noi.
Elisabetta
1 commento:
Beta continua così, non ti immagini quanto sia bello leggere della vostra vita-avventura negli "steitz" ;)
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