E’ finita la pacchia.
Addio ai ritmi trascinati, ai collages con le vecchie foto, alla comoda trasandatezza della casalinga, alla pratica di intrecciare i cestini di vimini (questo in realtà non lo faccio, ma mi piaceva la citazione da un film che adoro)… Ho trovato lavoro. Ed è una proposta, che, come si dice, non posso rifiutare.

Mi hanno offerto di collaborare con il Consolato Italiano (Onorario) di Baltimore, principalmente come Secretary-General di una Fondazione – The Italian Cultural Center - che si occupa di promozione dell’Italianità a vari livelli. Inoltre aiuterò a compiere la normale amministrazione consolare, che vuol dire, oltre a farsi tutti gli affari degli italiani residenti in Maryland (quelli più succosi: separazioni, morti, nascite, cambi di sesso), e a svolgere una serie di pratiche pallosissime, anche di godere di quello status da “diplomatici” che partecipano alle cene di beneficenza, fanno rappresentanza, in una parola: se la tirano. Non immaginatevi un palazzo storico, il salone delle feste, la macchina blu con le bandierine… la sede, che seppure nel distretto economico, è grande metà di casa nostra, è priva di qualsiasi atmosfera favolesca, e ospita tre persone in tutto, fra cui il Console stesso, che non assomiglia per niente al Richard Gere del famoso film... Ad ogni modo, da lunedì lavorerò 5 ore al giorno e avrò il massimo della flessibilità che solo un datore di lavoro italiano può offrirmi nell’America dei workaholic, e –cosa più importante- tutto quello che guadagnerò sarà completamente esente tasse, come una vera apolide. Un bel cambiamento. Ammetto che la soluzione per ora non è male e visto che nei miei sogni di ragazzina c’erano tra gli altri (attrice, cantante, doppiatrice, archeologa) anche quelli di diventare o un’ambasciatrice o il Segretario Generale delle Nazioni Unite (Kofi Annan, per intenderci), mi sembra che questa, almeno sulla carta, è sicuramente la cosa più vicina che potesse capitarmi di fare…
Per togliermi poi lo sfizio di lavorare con gli americani veri, sono anche riuscita, per altre vie e grazie all’aiuto di un amico italiano, ad entrare (come volontaria) in un Comitato per il gemellaggio Baltimore-Genova voluto dal nostro sindaco O' Malley (che tra l’altro è un figo pazzesco e suo figlio Jack è compagno di asilo di Luce) e ho cominciato le prime lezioni private di italiano con un pediatra nigeriano molto gentleman che ha bisogno di me perché sta cercando di far innamorare di sé una donna italiana… Unico neo è che dovrò forse abbandonare la palestra dove Marcus (il trainer rasta del YMCA) mi saluta in italiano tutte le mattine con un “Ciao, bel corpo”: voleva la traduzione della stessa medesima frase in inglese, giuro, e anche se vi sembra improbabile io mi godo questo complimento come il primo di questo genere –e ultimo- della mia vita.

Nel frattempo siamo stati alla very american Hopkins Spring Fair, nel campus qua vicino, che oltre ad offrire ogni genere di schifezza da mangiare, baracchini promuoventi qualsiasi tipo di attività studentesca, atleti della squadra universitaria di Lacrosse appollaiati sopra enormi vasche d’acqua, pronti a cadere rovinosamente se centrati nel bersaglio, e giostre per bimbi, aveva anche, nascosto, un recinto per gli alcolizzati, separato dagli altri pratini sopra cui delicati studenti prendevano il sole, dove chi osava voler sorseggiare una birretta fresca veniva tatuato con un braccialetto (che ho dovuto mettere anch’io seppur astemia, solo per entrare –con carta d’identità alla mano, of course- ad accompagnare Luigi)… e guai ad uscire col bicchiere in mano, potreste essere multati. Non so come, ma l’immagine ci ha subito catapultati alle sagre alcoliche di San Damiano, Basovizza o alle enoteche italiane, francesi, spagnole che trasformano interi quartieri in giganteschi dehors … Qui infatti si può bere solo a casa propria, nei bar e mai per strada: è per quello che quando compri una bottiglia di vino te la incartano, per non turbare gli animi dei proibizionisti – che evidentemente sono la maggioranza… e sono gli stessi che censurano i culetti rosa di bambini in tv (anche quelli di sei mesi) e che però fanno vedere i pestaggi dei “cops” contro gli immigrati alle sette di sera… ma di questo ho già parlato.

Mentre le nostre attività si stanno svolgendo di nuovo per lo più all’aperto - i prati verdissimi appena tagliati ovunque sono davvero invitanti - gli americani si stanno piano piano ritirando nelle loro case enormi dal clima controllato, confermando la tesi che la vita indoor, nei mall, nei parcheggi multipiano, nelle family room dalle finestre inchiodate, è molto meglio che quella outdoor, nonostante, ripeto, trattino con una cura quasi esasperata i loro giardinetti…
Ieri puntata spettacolare di ER in Darfur. La situazione umanitaria è ormai inaccettabile lì, e per fortuna qua se ne stanno accorgendo. Ho voglia di esotico. Vorrei andare a trovare la mia amica Silvia in Africa e poter fare qualcosa per qualcuno anzichè lamentarmi di come vivono gli americani.
Fra qualche w-e andremo al mare in Delaware per assaggiare la brezza oceanica e le lunghe spiagge, in attesa dei veri tuffi nel mediterraneo. A proposito, e’ da un po’ che m’immagino il ritorno a Barcola come "Il ragazzo della Via Gluck"… chissà perche’ penso che dopo un anno non riconoscerò più niente, come se la geografia di Trieste offrisse chissà che evoluzioni urbanistiche…

L’altra settimana ho fatto una piccola conferenza sull’Unione Europea al Centro studi della mia amica sarda, che mi ha abbastanza gasato ma mi ha anche riportato indietro nel tempo, quando l’Europa era il mio pane, avevo il bidone della spazzatura sotto casa (e non dovevo seguire una rigida agenda per il riciclaggio dei rifiuti, che se non imbrocchiamo, è una vera tragedia) e non mi scervellavo al supermercato per trovare una cera per i pavimenti (che qui inspiegabilmente non esiste, pure essendo l’80% delle case in legno).
Luigi ed io abbiamo deciso di parlare inglese tra di noi, perché ci sentiamo un po’ su un binario morto, mentre Luce ha preso un accento strano anche parlando italiano, che ormai assomiglia sempre di più al catanzarese, visto che aspira tutte le parole per imitare il suono dell’inglese. E’ una gioia indescrivibile vederla fare queste scoperte (l’altro giorno l’ho sentita parlare in inglese al gatto, oggi ha dimostrato di sapere leggere tutte le lettere dell'alfabeto tranne la i) e accorgersi che sta anche diventando (finalmente, aggiungo io) molto più mammona: tipica fase pre-edipica credo, perchè dopo questo fatuo innamoramento per me poi vorrà uccidermi per eliminare una concorrente e riconquistare suo padre. Intanto questo suo rendersi conto dei ruoli maschi-femmine e il desiderio per esempio di mascherarsi da regina e principessa a me fa molta tenerezza. A scuola le hanno fatto una tesserina con tanto di foto segnaletica e minuscole impronte digitali da diffondere sul cartone del latte nel caso di "missing children". Da quel giorno non la perdo d'occhio neanche quando devo andare in bagno.
Questa volta ho lasciato il mio flusso di pensieri un po’ più sciolto, come un vero blog. Sarà che dalla prossima settimana non potrò più scrivere, che mi viene da raccontarvi tutte le cose che ho paura di dimenticarmi. Sarà invece che con questo nuovo lavoro, che pur mi ha permesso di conquistare un posticino nel mondo e di poter contribuire al bilancio familiare, mi sento anche meno libera, meno creativa... e maledettamente, definitivamente e prepotentemente
incastrata.