
L’America è immensa e infinite sono le tipologie di persone, cose e posti che ci puoi trovare. Continuo a meravigliarmi di quante opzioni abbiamo davanti quando dobbiamo scegliere cosa fare e chi andare a spiare e quando pensi di aver scoperto quasi tutto, ti accorgi che sei solo all’inizio di questa discesa nei loro gironi infernali, larghi come le autostrade che passano di qua… E’ da un po’ di tempo che mi sto concentrando sui contrasti razziali per esempio, e sui luoghi dove passa il confine. Dovrebbe essere quello città-periferia ma anche blocco “safe” e blocco “non-safe”, che é veramente difficile da spiegare a chi, come voi, vive in città costruite sulla certezza che gli italiani (a dispetto di quello che pensa Bossi) sono in fondo tutti uguali. Abitare a Charles Village, in mezzo alla città, è in questo senso molto illuminante. La nostra casa fa parte di un quartiere “bianco” largo circa 10 blocchi e molto tipico quanto ad architettura, che è circondato da uno (anzi, molti, visto che qua ogni quattro isolati si cambia nome) nero, molto più grande e diverso in tutto. In effetti gran parte delle zone che compongono Baltimore city sono popolate da famiglie nere e qualche individuo spesso molto, ma molto minaccioso. Noi facciamo di questo dato di fatto virtù e come sapete abbiamo iscritto Luce in un asilo del quartiere nero, frequentiamo (come molti altri, per fortuna) una palestra molto fiera della sua ebonicità, di cui sabato abbiamo sperimentato anche la piscina, perfetta per le nostre esigenze, calda al punto giusto, priva di regole ferree tipo quella dell’obbligo della cuffia e di cloro puzzolente, animata dalle allegre urla di un gruppetto di bambini che giocavano a palla e fornita, nei lindi spogliatoii anche di un asciuga-costume a centrifuga che Luigi ha subito provato. Ci pare un sogno il fatto che la salata retta dell’asilo ci abbia dato accesso, come family membership, ad un sacco di servizi gratuiti.
Come vedete quindi, ostentiamo la nostra voglia di integrazione. Tuttavia continuo a tremare quando passo per sbaglio in alcune zone, anche se chiusa in macchina a chiave all’una di pomeriggio, e se vedo salire sul nostro portico un barbone come ce ne sono mille nelle citta’ americane… faccio ancora fatica ad addormentarmi. Cosa c’è di sbagliato in me? Allo stesso tempo, se voglio uscire di casa a fare due passi, posso andare a 50 metri da casa nostra, dove in un pratino fra le casette vittoriane attrezzato con qualche gioco dono della comunità, si ritrovano tutte mamme bionde con figli biondissimi, che seppure un po’ “intellettuali” rimangano abbastanza basite quando elenco le nostre attività nel ghetto e mi indicano, con una certa insistenza, prestigiosissime scuole luterane (fuori Baltimore) per le elementari di Luce. Io questa contraddizione non l’ho ancora capita. Abbiamo l’arroganza di pensare che per noi questa separazione non è normale, e crediamo che, fortunatamente, Luce crescerà con un’idea molto imprecisa sul suo colore della pelle - anche se l’altro giorno, per la prima volta, mi ha parlato del suo compagno Emmanuel come di quello “marrone”, e quando le ho chiesto lei di che colore é, mi ha risposto con assoluta non-chalance, “pink”.
In compenso, avere una pezza di giardino fiorito nel bel mezzo di una zona urbana, è davvero un lusso che ci mancava a Trieste. Sabato abbiamo fatto il primo barbecue americano, e dopo aver sudato al sole estivo affumicati dagli odori delle mille varietà di carne e pesce comprate da Luigi (chi lo conosce sa quanto è maniaco della carbonella) ci siamo rilassati sull’amaca famigliare all’ombra del grande albero che troneggia nella metà esatta del nostro piccolo recinto erboso.

Questa è vita.
Mentre domenica, pranzo di pasqua con gli amici nella campagna del Maryland a mezz’ora dalla città. E mi sono resa conto che l’America è li’, perché il quadretto tornava molto più familiare tutti quelli che ho visto fino ad ora. La “friendly farm” dove abbiamo assaporato un vero menù americano (kili di carne, ma scordatevi gli hamburger) ha come politica quella di non servire nessun tipo di alcolico a tavola, perchè sono un “family restaurant”. Quando gli diciamo che da noi persino le mense del reparto di chirurgia dell’ospedale hanno il fiaschetto di vino sempre sul tavolo, non oso pensare cosa s'immaginino. E le iper-bacchettone famiglie che lo popolavano erano proprio come mi immaginavo fosse progredita l’America dalla "Casa nella Prateria" in poi: teste dalla tonalità rossiccio-biondo-albino, almeno 5 figli ciascuna, quattro nonni al seguito (di cui diversi con deambulatore), vestiti demodé tirati fuori dal baule in soffitta per la festa, cappellini lilla, calze color carne e, cosa più importante, un’evidente fede religiosa sulla faccia… seppure riguardosi, ma molto divertiti ed un po’ imbarazzati per il nostro abbigliamento sbarazzino (decisamente da pasquetta) siamo andati anche a sbirciare nel “friendly store”, dove tra le altre cose abbiamo trovato con orrore una “Baby prayer bag”, pronta per i figli che sentissero l’urgente impellenza di pregare nel bel mezzo della statale… cosa c’hanno in comune questi con le receptionist soprappeso di un YMCA di città, o con il simpatico ragazzo ammiratore sfegatato dei creatori di Google, nativo-americano discendete degli Apache che abbiamo conosciuto venerdi’ ad una festa? O con Donald Trump? Nulla, ovviamente. Eppure tutti sono americani, e molto più rilevante, si sentono americani. Non ho mai studiato sociologia, ma vivere qui ti arricchisce più di mille manuali, anche se non basta una bandiera in comune a fare tutti uguali di fronte alla legge ed a pregiudizi. E chi ha visto al cinema l’ottimo Crash, forse capirà a cosa mi riferisco.

Finita la pausa semi-seria, segue breve descrizione degli highlights della nostra vita a Baltimore.
Luce cresce più rigogliosa che mai, ha ormai optato per una dieta a base di carne e fagioli (che mangia come caramelle – mentre queste ultime non le piacciono per niente, per fortuna) e ha mancato, per colpa della sua mamma stordita, la tradizione pasquale degli Easter bunnies che nascondono ovetti di cioccolato in casa. Per quel che mi riguarda, se v’interessa per carità, mi sento rinvigorita dalla mio ritrovato smagliante tono muscolare (che, chissà perché, non riesco a ricordare quando avevo perso...) grazie alle sessioni quotidiane di palestra, dove oltre al conteggio delle calorie che brucio per esercizio mi danno anche dei punti (sono a 1600, il primo traguardo – con annessa affissione del nome sulla bacheca comune – è a 100.000!), ed ho ricevuto la prima richiesta di lezioni private di italiano da una coppia di ricercatori interessati a mettere su un “survival kit” di frasette per un viaggio in Italia in autunno. Oltre a ciò, Luigi ed io forse parteciperemo ad uno studio della Hopkins retribuito e cosi’ a forza di prelievi e survey da compilare raggranelleremo qualche spicciolo in più come i barboni… a proposito, con una cifra da capogiro ci siamo assicurati il viaggio in Italia quest’estate… un mese io e Luce (dal 9/7 al 7/8), quindici giorni solamente per il Mulo da soma, in cui cercheremo ovviamente di farci almeno quei soliti 1500 kilometri fra Torino-Gressoney-Trieste-Liguria-Toscana… e con mia enorme gioia farò per la prima volta l’esperienza di trasvolare l’oceano sola con Luce e visto che questa volta non potrò drogarmi col Lexotan, forse sarà l’occasione per farsi furba, come dice Luigi che già ghigna al pensiero...
Si segnalano infine nuovi programmi televisivi come "God or the girl" che segue con incredibile morbosità (e più di una tentazione sotto forma di pettoruta volontaria) i tormenti interiori di giovani seminaristi alla soglia dei voti, "Skeleton stories" che indaga, partendo dal ritrovamento di ossa nel giardino di casa, sulla vita e morte (violenta, quasi sempre) dei loro proprietari, e "Honey we're killing the kids", che fa vedere a genitori, evidentemente poco attenti alla dieta, come saranno i loro figli se continueranno a crescerli a base di play station e patatine. Per finire, ieri sera guardavo un documentario su di una popolazione della Nuova Guinea, la cui pagina nera di avvertenza prima dell'inizio metteva in guardia gli spettatori sulla possibile sgradevolezza e scabrosità di certe immagini. Fortunatamente i poveri primitivi ignudi si erano provvisti- forse conoscendo la pudicizia degli americani- di compostissimi gonnellini di fiori di banano....
Vi bacio tutti, a presto carissimi.
