martedì 18 aprile 2006

Prayer bag e Easter bunnies

Una goduria infinita il primo barbecue in giardino e una piscina calda tutta per noi a 5 blocchi da casa. E che senso di libertà spingersi il giorno di Pasqua nelle campagne del Maryland sapendo che stai facendo un millesimo del viaggio che si potrebbe fare in auto se guidassimo sempre verso ovest…


L’America è immensa e infinite sono le tipologie di persone, cose e posti che ci puoi trovare. Continuo a meravigliarmi di quante opzioni abbiamo davanti quando dobbiamo scegliere cosa fare e chi andare a spiare e quando pensi di aver scoperto quasi tutto, ti accorgi che sei solo all’inizio di questa discesa nei loro gironi infernali, larghi come le autostrade che passano di qua… E’ da un po’ di tempo che mi sto concentrando sui contrasti razziali per esempio, e sui luoghi dove passa il confine. Dovrebbe essere quello città-periferia ma anche blocco “safe” e blocco “non-safe”, che é veramente difficile da spiegare a chi, come voi, vive in città costruite sulla certezza che gli italiani (a dispetto di quello che pensa Bossi) sono in fondo tutti uguali. Abitare a Charles Village, in mezzo alla città, è in questo senso molto illuminante. La nostra casa fa parte di un quartiere “bianco” largo circa 10 blocchi e molto tipico quanto ad architettura, che è circondato da uno (anzi, molti, visto che qua ogni quattro isolati si cambia nome) nero, molto più grande e diverso in tutto. In effetti gran parte delle zone che compongono Baltimore city sono popolate da famiglie nere e qualche individuo spesso molto, ma molto minaccioso. Noi facciamo di questo dato di fatto virtù e come sapete abbiamo iscritto Luce in un asilo del quartiere nero, frequentiamo (come molti altri, per fortuna) una palestra molto fiera della sua ebonicità, di cui sabato abbiamo sperimentato anche la piscina, perfetta per le nostre esigenze, calda al punto giusto, priva di regole ferree tipo quella dell’obbligo della cuffia e di cloro puzzolente, animata dalle allegre urla di un gruppetto di bambini che giocavano a palla e fornita, nei lindi spogliatoii anche di un asciuga-costume a centrifuga che Luigi ha subito provato. Ci pare un sogno il fatto che la salata retta dell’asilo ci abbia dato accesso, come family membership, ad un sacco di servizi gratuiti.
Come vedete quindi, ostentiamo la nostra voglia di integrazione. Tuttavia continuo a tremare quando passo per sbaglio in alcune zone, anche se chiusa in macchina a chiave all’una di pomeriggio, e se vedo salire sul nostro portico un barbone come ce ne sono mille nelle citta’ americane… faccio ancora fatica ad addormentarmi. Cosa c’è di sbagliato in me? Allo stesso tempo, se voglio uscire di casa a fare due passi, posso andare a 50 metri da casa nostra, dove in un pratino fra le casette vittoriane attrezzato con qualche gioco dono della comunità, si ritrovano tutte mamme bionde con figli biondissimi, che seppure un po’ “intellettuali” rimangano abbastanza basite quando elenco le nostre attività nel ghetto e mi indicano, con una certa insistenza, prestigiosissime scuole luterane (fuori Baltimore) per le elementari di Luce. Io questa contraddizione non l’ho ancora capita. Abbiamo l’arroganza di pensare che per noi questa separazione non è normale, e crediamo che, fortunatamente, Luce crescerà con un’idea molto imprecisa sul suo colore della pelle - anche se l’altro giorno, per la prima volta, mi ha parlato del suo compagno Emmanuel come di quello “marrone”, e quando le ho chiesto lei di che colore é, mi ha risposto con assoluta non-chalance, “pink”.
In compenso, avere una pezza di giardino fiorito nel bel mezzo di una zona urbana, è davvero un lusso che ci mancava a Trieste. Sabato abbiamo fatto il primo barbecue americano, e dopo aver sudato al sole estivo affumicati dagli odori delle mille varietà di carne e pesce comprate da Luigi (chi lo conosce sa quanto è maniaco della carbonella) ci siamo rilassati sull’amaca famigliare all’ombra del grande albero che troneggia nella metà esatta del nostro piccolo recinto erboso. La nostra amica Alessia dipingeva, Luce –in costume e infradito coi cuori- strappava con la rabbia che solo i bambini possono avere, teneri tulipani rossi appena sbocciati.
Questa è vita.

Mentre domenica, pranzo di pasqua con gli amici nella campagna del Maryland a mezz’ora dalla città. E mi sono resa conto che l’America è li’, perché il quadretto tornava molto più familiare tutti quelli che ho visto fino ad ora. La “friendly farm” dove abbiamo assaporato un vero menù americano (kili di carne, ma scordatevi gli hamburger) ha come politica quella di non servire nessun tipo di alcolico a tavola, perchè sono un “family restaurant”. Quando gli diciamo che da noi persino le mense del reparto di chirurgia dell’ospedale hanno il fiaschetto di vino sempre sul tavolo, non oso pensare cosa s'immaginino. E le iper-bacchettone famiglie che lo popolavano erano proprio come mi immaginavo fosse progredita l’America dalla "Casa nella Prateria" in poi: teste dalla tonalità rossiccio-biondo-albino, almeno 5 figli ciascuna, quattro nonni al seguito (di cui diversi con deambulatore), vestiti demodé tirati fuori dal baule in soffitta per la festa, cappellini lilla, calze color carne e, cosa più importante, un’evidente fede religiosa sulla faccia… seppure riguardosi, ma molto divertiti ed un po’ imbarazzati per il nostro abbigliamento sbarazzino (decisamente da pasquetta) siamo andati anche a sbirciare nel “friendly store”, dove tra le altre cose abbiamo trovato con orrore una “Baby prayer bag”, pronta per i figli che sentissero l’urgente impellenza di pregare nel bel mezzo della statale… cosa c’hanno in comune questi con le receptionist soprappeso di un YMCA di città, o con il simpatico ragazzo ammiratore sfegatato dei creatori di Google, nativo-americano discendete degli Apache che abbiamo conosciuto venerdi’ ad una festa? O con Donald Trump? Nulla, ovviamente. Eppure tutti sono americani, e molto più rilevante, si sentono americani. Non ho mai studiato sociologia, ma vivere qui ti arricchisce più di mille manuali, anche se non basta una bandiera in comune a fare tutti uguali di fronte alla legge ed a pregiudizi. E chi ha visto al cinema l’ottimo Crash, forse capirà a cosa mi riferisco.

Finita la pausa semi-seria, segue breve descrizione degli highlights della nostra vita a Baltimore.
Luce cresce più rigogliosa che mai, ha ormai optato per una dieta a base di carne e fagioli (che mangia come caramelle – mentre queste ultime non le piacciono per niente, per fortuna) e ha mancato, per colpa della sua mamma stordita, la tradizione pasquale degli Easter bunnies che nascondono ovetti di cioccolato in casa. Per quel che mi riguarda, se v’interessa per carità, mi sento rinvigorita dalla mio ritrovato smagliante tono muscolare (che, chissà perché, non riesco a ricordare quando avevo perso...) grazie alle sessioni quotidiane di palestra, dove oltre al conteggio delle calorie che brucio per esercizio mi danno anche dei punti (sono a 1600, il primo traguardo – con annessa affissione del nome sulla bacheca comune – è a 100.000!), ed ho ricevuto la prima richiesta di lezioni private di italiano da una coppia di ricercatori interessati a mettere su un “survival kit” di frasette per un viaggio in Italia in autunno. Oltre a ciò, Luigi ed io forse parteciperemo ad uno studio della Hopkins retribuito e cosi’ a forza di prelievi e survey da compilare raggranelleremo qualche spicciolo in più come i barboni… a proposito, con una cifra da capogiro ci siamo assicurati il viaggio in Italia quest’estate… un mese io e Luce (dal 9/7 al 7/8), quindici giorni solamente per il Mulo da soma, in cui cercheremo ovviamente di farci almeno quei soliti 1500 kilometri fra Torino-Gressoney-Trieste-Liguria-Toscana… e con mia enorme gioia farò per la prima volta l’esperienza di trasvolare l’oceano sola con Luce e visto che questa volta non potrò drogarmi col Lexotan, forse sarà l’occasione per farsi furba, come dice Luigi che già ghigna al pensiero...
Si segnalano infine nuovi programmi televisivi come "God or the girl" che segue con incredibile morbosità (e più di una tentazione sotto forma di pettoruta volontaria) i tormenti interiori di giovani seminaristi alla soglia dei voti, "Skeleton stories" che indaga, partendo dal ritrovamento di ossa nel giardino di casa, sulla vita e morte (violenta, quasi sempre) dei loro proprietari, e "Honey we're killing the kids", che fa vedere a genitori, evidentemente poco attenti alla dieta, come saranno i loro figli se continueranno a crescerli a base di play station e patatine. Per finire, ieri sera guardavo un documentario su di una popolazione della Nuova Guinea, la cui pagina nera di avvertenza prima dell'inizio metteva in guardia gli spettatori sulla possibile sgradevolezza e scabrosità di certe immagini. Fortunatamente i poveri primitivi ignudi si erano provvisti- forse conoscendo la pudicizia degli americani- di compostissimi gonnellini di fiori di banano....

Vi bacio tutti, a presto carissimi.

mercoledì 5 aprile 2006

Le gemelle riunite

Con l’apparizione di Bianca e mio padre in America ed il primo vero “viaggetto” a New York inizia la nostra primavera, aiutata anche dal tripudio di alberi in fiore per le vie di Baltimore e dall’ennesimo “guizzo” di iniziativa che mi e’ preso mentre guidavo indietro dall’aeroporto, lunedì, con la tristezza nel cuore e la voglia di non lasciarsi sopraffare dall’America in casa e l’Italia così lontana.


Bianca e mio padre: un pezzo (in effetti i due terzi) della mia famiglia trasvolata qua per girare per casa, seguire Luce con le sue faccette da tenera bisbetica, in una frase, per accompagnarci lungo un piccolo segmento nella nostra nuova vita. Era ormai diventata una necessità, un bisogno impellente, questa conferma che siamo sulla strada giusta, ed il calore che ci hanno portato dalla e dell’Italia (con il parmigiano ed il Venerdì di Repubblica), costituisce una bella dose di carburante per il futuro. Oltre a gongolarci della rispettiva vicinanza, abbiamo girato in lungo e in largo tutto quello che questa ridente cittadina sulla Chesapeake bay può offrire, scoprendo tra l'altro, da "turista", un sacco di bei posti dove non ero mai stata (un giardino rigogliosamente fiorito qua vicino dove si può svaccare coi bambini, un cafe' gestito da una parigina lungo il molo in centro dove posso ordinare pain au chocolat in francese), e spingendoci in gita fino a DC, dove abbiamo fatto il solito tour tra le statue dei padri fondatori della nazione, la mitica Georgetown ed i verdi quadri di una mostra su Cezanne. Com’era prevedibile, quella belva assatanata di mia sorella mi ha costretto a forsennate corse in quasi tutti i mall della contea, con la scusa dei regali per Lucina e la curiosità su cosa si mettono di trendy gli americani (cioe’ nulla, confermando che quanto a trends forse ne sanno piu’ a Moncalieri) e mio padre ha riassaporato dopo qualche anno il gusto degli “ambürgher” come li chiama lui, e mentre con gli untissimi brunch si alzava vertiginosamente la sua soglia del colesterolo, lui andava a correre con gps al braccio e il cappellino da baseball nel campus qua vicino, guadagnandosi la stima, per i suoi 68 anni -ammetto- portati da ragazzino, anche dei più consumati joggers.
E poi New York: si dice che si vede Roma e poi si muore, ma io sono convinta che anche a New York si debba stare una volta nella vita, perché è talmente unica che finché non sei lì dentro, pigiato fra la gente ed i grattacieli, non si capisce quanto è bella. L’ultima volta che ci sono stata avevo 17 anni e l’unica cosa che mi ricordo era seguire come un segugio la mappa per trovare un negozio che vendesse le Sebago. A New York non devi guardare per terra, devi camminare facendo finta di avere gli occhi al posto dei capelli. Perché a parte lo shopping ed i locali ultra chic, le luci di Times square (che pure ti abbagliano come un bambino), le montagne di cemento e vetro ed i torrenti di facce di tutte le razze, religioni e ceti che ti circondano, New York ti offre anche tutto il resto, una sfilza di musei che comprendono gran parte dell’arte mondiale, mille angoli, palazzi bellissimi, università e monumenti che ti ricordano libri, film, politica ed economia, la zona di Soho che con la sua architettura post-industriale e la vivace vita modaiola dei locali e delle gallerie ti insegna che connubi così funzionano davvero, un parco meraviglioso, quello "Centrale", che non puoi credere sia lì in mezzo, con laghi e prati che sembrano Valle stretta se li guardi orizzontalmente ma appena alzi lo sguardo e vedi tutti quei grattacieli intorno ti chiedi chi è il genio che lo ha progettato e che ti può anche riservare mentre passeggi in mezzo alla gente spaparanzata sull’erba a leggere e studiare in un caldo pomeriggio di fine marzo, incontri ravvicinatissimi con Moby e il vero Dr. Green di ER con look ultra-sportivo e famiglia al seguito…basta, ho eletto mio luogo ideale per vivere (e sono sicura, peraltro, che Luce sia entusiasta dell’idea) una capanna degli attrezzi di fianco allo zoo, con entrata praticamente da Fifth avenue, vista sui boschi di Central Park ed i curiosi individui che li frequentano e ho già detto a Luigi che farò di tutto per realizzare questo progetto, magari da vecchietta… scusate se mi sono fatta trascinare dall’ebbrezza… non a caso New York e’ la meno americana delle città americane e molti americani intolleranti giurano che per questo non intendono metterci piede, anche se abitano in New Jersey. Dimenticavo, New York produce anche un giornale –The New Yorker- che è veramente figo.
La nostra dolce blond monkey ci ha seguito ovunque e sta diventando sempre di piu’ pretenziosa quanto a intrattenimento… forse dovremo calare un po’ di livello, sennò la prossima volta al posto di andare ai giardini di fianco a casa mi chiederà di portarla alla ruota panoramica che c’e’ dentro il mega-store di Toy ‘r' us di Manhattan… Con una sontuosa cena a base di Rib-eye e filet mignon con mio cognato Giovanni (anche lui, diciamo, in città per lavoro), un servizio fotografico con sfondo la Statua della Libertà degno dell’agenzia Magnum che a NY risiede ed una divertente sosta in un ristorante country lungo la I-95 sulla strada del ritorno, si è conclusa questa parentesi familiare, trascorsa per la gran parte nella casa della trentatreesima, che mi rimarrà sempre nel cuore come il “family trip” più goduto, sugoso ed intenso degli ultimi anni.

Per tornare al tran-tran di tutti i giorni, ricevo sempre più gratificazioni dalla mia classe di italiano, pur assottigliata (ma sono rimasti i piu’ convinti: le madame della Baltimora bene, i vecchietti appassionati d’opera e gli studenti alternativi), tanto da voler mettere su dei piccoli corsi in gruppo che ho promosso con frasi sul volantino tipo “learning Italian as a brand new intellectual experience”, puntando su chi magari quest’estate ha in progetto una vancanza dalle vostre parti… Luce ha sperimentato, con la prima influenza americana, le medicine preparate dal farmacista con il suo nome sulla boccetta ed un’attirante gusto al lampone, che si può scegliere fra i venti proposti –credo anche il pollo ed il cioccolato- e non si è per nulla scomposta alle maratone che le abbiamo fatto fare lungo la East coast. Abbiamo in programma, vista ormai la sua indole da piccola esploratrice, di portarla prima o poi a fare il tipico –e per una volta, non urbano- viaggio in campeggio della famiglia americana, con marshmellows sciolti sul fuoco e avvistamento di orsi fuori dalla tenda…
Come molte mamme moderne oggi ho poi cominciato la mia prima session di fitness nella mega-palestra del YMCA, dove ho deciso di recarmi -udite, udite- tutte le mattine! Lo so che i più non mi crederanno. Ed effettivamente aggirandomi spersa tra le diaboliche macchine trita-muscoli il mio ciuffo giallino di capelli e la mia pelle bianco-lattea risaltavano non solo come macchia di colore ma come perfetto travestimento alla Bridget Jones, emerso soprattutto quando mi sono messa in azione sul "pro-treadmill" con la goffaggine che, sapete, mi contraddistingue. Ho chiarito al personal trainer (che mi e’ stato subito affidato insieme ad un complicatissimo programma computerizzato che controllerà i miei progressi) che sono “really out of shape”, vedremo cosa sarà capace di fare di me nei prossimi mesi…
Fra quattro giorni voi voterete per cambiare Governo, mentre noi siamo stati privati del sacrosanto diritto formalizzato nel ‘92 con il voto degli italiani all’estero per corrispondenza, per la svogliatezza di una travet del Comune di Gressoney che non ha mandato avanti la pratica. Con la rabbia nel cuore, è comunque interessante seguire il dibattito politico da quaggiù, dove come prima cosa i giornali americani fanno risaltare la “vecchiaia” dei due pretendenti alla poltrona da premier (chiunque vinca, sarà il più anziano d’Europa) collegandola all’abitudine ormai consolidata degli italiani di fare tutto “tardi” rispetto agli altri paesi. E’ retorico dire che vivere all’estero ti fa vedere con più oggettività come siamo fatti e per una volta, di fronte agli americani che spesso ho snobbato, ho dovuto convenire dentro me stessa che l’Italia è un gran bel paese, sì, ma pieno di contraddizioni e, concedetemi la battuta... (spero) di coglioni!



ps. scusate l'abbondanza di foto...ma questa volta erano così belle...