domenica 27 novembre 2005

Tacchini e spelling

...Inghiottita dalla mia nuova vita nella casa della trentatreesima mi sono accorta che sono passate piu’ di due settimane dall’ultima volta in cui ho scritto e che nel frattempo si sono aggiunte talmente tante ciliegine sulla nostra bella torta che ho dovuto prendermi due appunti prima di iniziare a scrivere.
La nostra casa e’ completa, ripulita e confortevole. Tanto da ospitare nell’ordine gia’ una cena di sdebitamento con gli zii, un festino di inaugurazione con i sparuti amici che ci siamo fatti qua (piu’ qualche cinese collega di Lu che e’ arrivato un’ora prima a parlarmi un’inglese incomprensibile mentre preparavo) ed il primo ospite dall’Italia, mio cognato Giovanni, che si e’ sciroppato ieri in macchina un New York-Baltimore e ritorno in meno di ventiquattro ore!!!
Abbiamo inoltre passato il nostro (per me e per Luce) primo Thanksgiving in America, esperienza che di per se’ varrebbe un viaggio qua, visto che oltre ad essere l’apoteosi della magnata in famiglia -ma nel senso positivo del termine- a cui nessuno potrebbe rinunciare, e’ il festival piu’ nauseante e piu’ vergognoso del consumismo, essendo il giorno dopo il momento migliore dell’anno (chiamato il “black friday”) per fare acquisti nei grandi supermercati, con pratiche assurde tipo quella di aprire i negozi alle sei del mattino per l’”early burn” - con gente che dorme li’ davanti la notte prima! Noi piu’ pacatamente ci siamo sbaffati un tacchino enorme e svariate altre portate a casa degli zii ed abbiamo avuto la sorpresa di andare a dormire con la prima nostra neve nordamericana...
Ah, intanto, qua e la' vi metto gli interni della casetta.
A proposito di clima, fra le mie passeggiate i giorni scorsi nel campus della Hopkins mi sono piu’ volte imbattuta in disinvolti studenti con bermuda ed infradito -faccio presente che anche qua da una settimana e’ arrivato un gelo cane-, giustificato poi con il fatto che dentro gli edifici qua vige la regola del contrappasso per l’aria condizionata glaciale che c’e’ d’estate e che d’inverno produce invece sotto forma di enormi termosifoni un clima sahariano… al che’ ho quasi avuto pena per questi poveri studenti strapazzati da un America che sembra con questo fenomeno provare pure a governare la Natura, oltre che svariate altre cose umane...
Mezzo che mi fa sentire pienamente padrona della mia nuova vita e’ poi la nostra nuova macchina-usata, che mi porta in giro ormai da dieci giorni su strade ed autostrade come su un enorme tapis roulant, visti i limiti di velocita’ e la pecoraggine degli americani al volante… modello e marca non vi dicono niente -Saturn SW- , per noi e’ onesta, per gli americani un po’ sfigata (visto che trattasi di normale station wagon e non di van, mini-van, suv, sedan o pick-up e che ha pure il cambio manuale e non automatico), ma poco importa: noi sentiamo di aver fatto un grande affare, siamo divertiti di averla trovata casualmente dopo mesi di ricerche e ci sembrava abbastanza esotico il fatto di averla pagata una cifra piu’ che ragionevole a due ragazzi carini carini appena sposati che stanno per partire per un dottorato in botanica all’universita’ di Honolulu… vi alleghero’ la foto quando sara’ completata da un particolare truzzissimo che per ora non svelo ma che potere forse immaginare…
Dell’acquisto della tv sapete gia’ da Luigi, io vi aggiungo che girando un po’ sui 75 canali qualcosa di decente si trova anche, certo e’ che la quantita’ (e spesso la qualita’) di pubblicita’ farebbe innervosire anche Berlusconi e che e’ impossibile trovare un qualsiasi programma non made in USA… ammetto pero’ che Luce e’ molto contenta di aver ritrovato Play House Disney tale e quale, che con il dvd di Cinderella comprato l’altro giorno da Wall Mart fanno piu’ di una baby-sitter super-esperienziata!
Sono ormai lanciata nel mondo degli acquisti on-line ed ho scoperto con orrore che con il mio bancomat posso pagare ovunque -anche su internet- qualsiasi cosa, senza commissione e mille volte al giorno… dal pane al biglietto dell’aereo per tre, con massimale praticamente illimitato…(e' difficile quindi trattenersi, e cosi’ che qua si indebitano tutti, infatti) e sempre in tema di pagamenti, ecco perche’ ci era arrivato a casa una scatoletta con 500 assegni dalla banca… qua li usano per pagare tutto e specialmente le bollette, che ti arrivano gia’ con un foglietto da compilare con la cifra che vuoi pagare (perche’ puoi anche pagarne la meta’, se decidi che questo mese ti va di fare cosi’, vale lo stesso con le carte di credito) ed una busta pre-affrancata… dopo le prime esitazioni da italiana che ha paura addirittura a spedire una lettera per posta che non sia prioritaria, ti rassegni all’idea che qua funziona, ed in verita’ e’ molto piu’ comodo che andare in posta con le vecchiette…
Ecco un'altra foto di Luce e gatto Red, che poi e' una Lei (l'abbiamo scoperto dopo 3 settimane).

Non vi ho mai invece parlato di cosa facilita veramente la vita in America: aver imparato a fare lo spelling. "To spell" il proprio nome diventa indispensabile se sei straniero (come se loro c'avessero tutti nomi normali, ed e' per questo che serve, visto tutte le eccezioni di pronuncia dell'inglese), meglio se alla velocita’ di un razzo come fanno loro qua, perche' nessuno vuole mai perdere tempo. A scuola te lo inculcano in testa piu' delle poesie di Carducci (noi ci siamo puppati per due mesi esercizi tutte le sere della povera cugina Alessandra), tutti te lo chiedono e visto che qua fai tessere per qualsiasi cosa e diventi subito numeri di identificazione, codici e reference names, se non lo sai dire in fretta ed esatto, in particolare al telefono, sei finito. Nonostante questo abbiamo gia' ricevuto lettere con scritto Marchiomni, Girarda, Louigi...
Per un'altra cosa gli americani mi fanno tenerezza: quando fanno pasticci linguistici usando altre lingue oltre all’inglese (che di per se’ e’ ammirevole, visto che capita pochissimo)… specialmente ad uso pubblicitario: l’altro giorno ho mangiato una pizza al trancio da “Pizza Villa”, il cui slogan sul piatto di carta e sul menu’ era “Very villa, very pizza”!
Riallacciandomi al discorso delle lingue, non mi sono mai soffermata sull’esperienza linguistica che sto facendo e sulle difficolta’ che ho incontrato. Superata dapprima la lentezza del mio spelling, praticata un po' la scrittura dei numeri sugli assegni e compresa l'abitudine che all’inizio mi spiazzava del modo di salutarti delle cameriere, dei cassieri, dei custodi, e degli autisti che ti chiedono sempre “How are you doing today?” (che suona ormai con "un auarduiintudei") o “What’s up?” (se sei sfortunato) al posto di un normale "Buongiorno" -e che pretendono quindi una risposta tutte le volte-… direi che me la cavo abbastanza bene. Ho capito che ci sono alcune frasi che una volta che padroneggi bene ti servono, uguali, per un mucchio di situazione diverse, cosi’ come usare con scioltezza le preposizioni ed i piu’ comuni verbi tipo keep, get, come, work etcc.. Capire ormai non e’ piu’ un problema, e neanche esprimersi quando si parla del piu’ del meno, dell’Italia o di Luce… certo dire proprio quello che stai pensando in italiano e’ difficile molto spesso, per non parlare poi quando sei stanco la sera e hai di fronte un malefico cinese come i colleghi di Luigi o un texano di Dallas… vedremo quando dovro' cimentarmi con un lavoro... a proposito, questa settimana che viene provero’ a mandare i primi cv in posti da sogno (tanto vale partire dall’alto) e a visitare le prime scuolette per Lucina… speriamo di finire l’anno con un ultima buona notizia fra le due, almeno.

E con questo… vi rimando alla prossima puntata.

Un bacio!

Elisabetta

martedì 8 novembre 2005

Si ricomincia da Baltimore city

Con un brindisi allo champagne (Veuve Clicquot lasciato in frigo dai padroni di casa) ed un’unta cena cinese ordinata a caso cercando su internet si e’ finalmente concluso il nostro trasloco, durato effettivamente 5 mesi, partito con i primi caldi della luminosa estate triestina e passato dal porto di Istambul ed il garage di una villa stile Via col Vento nella verdissima periferia di Baltimore.
Non potete immaginare la sensazione che abbiamo provato a scartare le prime scatole, ritrovando l’odore della nostra lussuosa macchina del caffe’ e quello delle ciabatte di Luigi, gli scarabocchi di Luce, i bicchieri unti dalla salsedine presa sull’oceano, il narguile' di Nabil, il ricettario in triestino di Antonella e tutti i nostri libri, che dentro le fiammanti Billy comprate sabato scorso da Ikea le fanno quasi scomparire e formano sulla parete un mosaico coloratissimo… insomma, si ricompone il tanto sospirato quadretto e possiamo dire, dopo qualche mese di rodaggio, di partire per la nostra avventura in America con un buon punto di riferimento.
La nostra casetta vittoriana un po’ decadente ed un po’ country e’ molto piu’ bella di quanto avrei potuto prevedere, e anche se gli americani in genere questi posti urbani “antichi” li snobbano e li lasciano agli europei, ai pseudo-intellettuali (i vicini della casa di sinistra, ma lui potrebbe anche essere un militare reduce dalla guerra del Vietnam… per ora l’ho solo visto con delle innocue canne da pesca) ed ai gruppi di studenti della vicina Jonhs Hopkins University (i vicini di destra, la nostra padrona li ha definiti con un misterioso “ young professionals”, hanno anche una band ma mi sembrano piuttosto educati), a noi vivere qua fa gia’ comunque molto telefilm americano. Devo solo abituarmi alla vita di una citta’ americana che fino a pochi anni fa svettava in cima alla classifica dei posti piu’ pericolosi degli Stati Uniti e che in effetti intimorisce, spaventa, confonde. Siamo al limite di una zona elegantissima che confina con una malfamatissima, ma questo fa parte dei paradossi della societa’ americana, io per il momento esco di casa col passeggino e lo zaino senza apparire e faccio grandi sorrisi a tutti, giusto per non farci additare dalla neighbourood come quelli che non si vogliono integrare.

Sapete poi che gia’ da qualche giorno siamo possessori di una patente americana (fa un certo effetto esibirla come ID ovunque). Degno di nota rispetto a questo argomento –di cui peraltro ho gia’ scritto tantissimo- c’e’ solo che la foto su quella di Luigi e’ quanto di piu’ imbarazzante prodotto nella storia della fotografia mondiale degli ultimi anni, che si sono pure sbagliati a scrivergli l’indirizzo e che ci hanno fatto tornare due volte prima di farci fare l’esame… questo per confermare il dubbio sullo sfascio della famosa efficiente burocrazia a stelle e strisce, che a me personalmente ormai fa diventare isterica ancora prima di imbattermi in queste funzionare ottusissime che devono applicare regole non-sense… ma non devo troppo sputare sul piatto in cui mangio perche’ con un imprevedibile anticipo mi e’ arrivata la carta che mi autorizza a lavorare negli Stati Uniti, e cosi’ insieme alla driver’s license, al bancomat e libretto degli assegni con nome inciso, alla tessera di blockbuster e la membership dell’Acquario nazionale, mi ritrovo a possedere quasi piu’ attestati, riconoscimenti e permessi di Luigi…
Abbiamo poi passato anche Halloween, espletando la pratica obbligatoria del “Trick or treat?” con Luce vestita da Bugs Bunny nel quartiere vicino a casa degli zii, ci siamo riempiti di caramelle dolcissime e siamo rimasti un po’ delusi da una festa molto commerciale, un po’ macabra e a cui nessuno pero’ sembra voler rinunciare… mentre ci prepariamo al Thanksgiving fra due settimane, che pare sia la festa in assoluto piu' bella, forse perche' la piu' pagana di tutte (si mangia e basta!).Incominciano intanto a definirsi le nuove routine: stamattina dopo la colazione nella cucina che da' sul terrazzo di legno ed il piccolo giardino (a proposito, qua fa ancora caldissimo, si oscilla da giorni sui 20-25 gradi nel day-time), abbiamo salutato dal finestrone sotto il portico ricoperto di foglie rosso fuoco per la muta autunnale, Luigi che andava al lavoro.
Ha sceso le scalette verde pastello, ha salutato i vicini e si e’ allontanato lungo la trentatreesima.
Io e Luce siamo invece andati due blocchi da qua, al “Children of the World Co-op”, praticamente una ludoteca della Hopkins che funziona come una cooperativa per i figli dei ricercatori venuti dall’estero che non sanno dove fare giocare i propri bimbi, si sentono un po’ sprovvedute e hanno voglia di conoscere altre mamme straniere per sparlare un po’ degli americani –questa sono io!- ed infatti ho subito attaccato bottone con una danese con figlio unenne con cui sono poi andata a fare la spesa nel vicino Eddie’s market, una tata venezuelana con bimbo ispano-americano ed una giapponese molto americanizzata e molto fighetta. Il posto mi sembra molto accogliente, naturalmente con annesso piccolo parco giochi immerso in un boschetto, e dunque credo che mi registrero’ sicuramente per un paio di mattine a settimana, almeno fino a quando non avro’ trovato un lavoro. E finalmente anche Luce avra’ qualche ora dedicata solo a lei e potra' sbizzarrirsi con il suo baby-italo-inglese.


Mi fermo qua, vorrei raccontarvi di tutte le cose che mi fanno pensare, delle nostre vacanze in Italia a Natale, del trita rifiuti nel nostro lavandino, della tv e della macchina che dobbiamo assolutamente comprare questo w-e, del gatto Red che abbiamo ereditato dalla nostra padrona e che Luigi vuole assolutamente fare fuori… ma di nuovo sono stata lunghissima… spero di non avervi annoiato e v’invito a lasciare commenti se ne avete, qua sotto.

Elisabetta

Le foto degli interni della casa ve le mando quando ci sara’ almeno qualche quadro appeso… vi faccio sospirare…