Mi sono accorta rileggendo i vecchi blog che mi e’ un po’ passata la attitude da “scoperta” che avevo i primi tempi e che adesso le tante cose assurde dell’America mi sembrano quasi normali. Un po’ mi spiace non sentirmi intrigata come i primi tempi, dall’altra parte pero’ questa conquistata “visione da dentro” fa parte del processo di integrazione e serve a darti quella stabilita’ a cui ogni immigrato aspira!
Si coglie un'aria di innovazione qua a Baltimora.
La citta’ e’ in fermento, e noi con lei. Stiamo scoprendo un’altra Baltimore, quella all’avanguardia e un po’ alternativa che e’ cosi’ lontana dalla triste omologazione che si e’ abituati a vedere e dall'immagine che ti fai quando arrivi qua per la prima volta.
Tutti ci dicono che questa zona da questo punto di vista e’ uno spaccato d’America dove si puo’ fare ogni esperienza, ad un costo piu' contenuto rispetto a New York o San Francisco, e con un clima tutto sommato molto simile all'Italia.
Baltimore come citta' e’ effettivamente incredibile. Sei in centro circondata da case al massimo di tre piani coi mattoni rossi e le porte colorate come a Dublino, a due passi dal porto, e quando ti sposti nella downtown vera e propria i palazzi col piano terra in ghisa invece ti ricordano SoHo, mentre un isolato piu’ in la’ s’impenna un grattacielo come a Manhattan. Intorno al centro c’e’ una fascia di quartieri sgangheratissimi, di case abbadondonate con le porte e le finestre murate e i bambini neri che si fanno d’estate la doccia intorno all’idrante. Fai dieci mintui in macchina, passando da zone molto strane, alcune bellissime e trendy, altre da scappare a gambe levate, e sei gia’ in una specie di villaggetto di case vittoriane tutte colorate (dove stiamo noi). Attraversi un parco con ville coloniali dai bianchi colonnati circondate da giardini all’inglese, campi di golf e college esclusivissimi ed arrivi nella suburbia classica, con le case col portico in legno affacciate al pratino verde senza staccionata. Vai ancora piu’ in la’ e ti imbatti nel tipico ranch di Santa Fe o nella casa modernissima alla Norman Foster affacciata sul Country Club. Ovunque, a parte il centro, immerso nel verde e negli alberi. Ma ovunque, tranne piccolissime aree vicino ai negozi, nessun marciapiede, nessun pedone, nessuna bicicletta.
Ma noi non ci perdiamo d’animo. Sento che abiteremo in un vecchio mulino ristrutturato, in un cottage dalle finestre di legno blu cobalto immerso in un bosco o in una casa di legno bianco con l’antico pozzo davanti.
Mi piace considerarci degli outsider gia’ solo perche’ siamo stranieri. Per noi e’ molto piu’ naturale osare la’ dove gli americani medi si fermano. Intanto ho un realtor, un agente immobiliare, che cerca per me. L’ho agganciato non so io neanche come. In genere rampantissimo trentenne, cerchera' di conquistare la tua fiducia a suon di sorrisi ed una valanga di email piene di cosiddetti listings (annunci gia' selezionati secondo i tuoi criteri di ricerca), che per i primi due anni mi erano tra l'altro assolutamente indecifrabili. "Gorgeous home, 3br, 1.5 ba, AC units, hwd flrs, EOG". Traduzione: 3 camere da letto, un bagno e mezzo (questa e' l'unita' di misura, non la metratura), aria condizionata, pavimenti in legno, 3 lati indipendenti. Per ora ci divertiamo un sacco ad andare a vedere anche quelle improponibili... La cosa divertente e’ infatti che ogni casa messa sul mercato ha una “open house” la domenica, dove ti aspettano, oltre al rapace dell’agenzia immobiliare, voglioso di compagnia, anche piatti di biscotti e bibite dissetanti, quando non veri e propri pranzi. Un giorno una realtor mi ha anche fatto da baby sitter a Gaia mentre giravo la casa e da allora siamo diventate amiche!
Abbiamo passato dei weekend molto frizzanti, che di solito incominciano tutti il sabato mattina con un giro al mercatino “organico” di Baltimore, dietro casa. Qua l’organico, che da noi chiamano biologico, va molto di moda, anche quando i prodotti (per loro super-fighetti) sono semplici verdure fresche o sale grosso. L’altro giorno ho persino visto la pubblicita’ di una palestra “organica”: che vorra' dire?
Ogni tanto ci facciamo delle gitarelle fuori porta, spesso ad Annapolis, a strafogarci di waffle e arrosto immerso nel gravy nei buffet locali, o a scrutare con invidia le case meravigliose con molo privato sulla Chesapeake bay. In piu’ gli alberi si sono colorati di rosso fuoco e la temperatura ha retto fino a ieri ancora dei tiepidi 20 gradi. Cosa volete di piu’?
Gaia e Luce vengono, loro malgrado, ovunque (a parte qualche sera passata tra le braccia della nostra ormai fida Jennifer) e ci rendono sempre piu' fieri del loro adattamento a questa vita che a volte e' difficile ma spessissimo davvero entusiasmante. Luce sta coltivando una passione per i pianeti e la geografia, ma mi ha confessato l'altro giorno che il posto dove le piacerebbe vivere e' Gressoney. Mentre Gaia-grandi-sorrisi sta scoprendo il suo di mondo, che si ferma a 20 centimetri da terra, compiendo quei giri a compasso tipico da stage pre-gattonamento. Il loro menage non e' sempre semplice e idilliaco ma noi riusciamo ancora a vederne i lati buffi... e guardiamo al futuro che abbiamo davanti con loro e ci riempiamo di gioia.
In mancanza di altra attivita’ intellettuale, prosegue la mia ricerca di persone interessanti da frequentare. Oltre al ben amalgamato giro degli italiani, sto coltivando un po’ di amiche americane gia’ rodate e sperimentandone delle nuove. Ieri siamo stati alla festa del nostro amico Geppino - che dopo 6 anni all’NIH, coraggioso, torna in Italia al CNR - e li’ abbiamo conosciuto diversi altri scienziati italiani, tra cui l’inventore di Google Sky che lavora allo Space Telescope Institute qui di Baltimore e ha studiato astrofisica a Trieste! Intanto la mia amica giapponese Tamako mi ha chiesto di darle lezioni di cucina italiana. Pare che appartenga ad una antichissima famiglia di Tokyo e che sia la regina del sushi. Sono indecisa se incominciare l’école de cuisine con una pasta fagiola (come pubblicizzava un’insegna di un ristorante pseudo-italiano l'altro giorno) o col famoso “puré con la pelle” (cavallo di battaglia della famiglia Girardi).
La sera, quando Luigi si spupazza le bambine, mi fanno compagnia i viaggi di Anthony Bourdain, Samantha Brown, Andrew Zimmern e Francesco Da Mosto (ogni show in TV ha il suo personaggio di spicco, messo ben in rilevanza nel titolo), ma piu’ di tutti sogno con Bear Grylls, aitante esploratore britannico che vaga da solo in posti sperdutissimi facendo cose assurde tipo bersi la sua pipi’ nel deserto o costruirsi un igloo in un ghiacciaio.
L’esperienza linguistica mi affascina sempre molto, e non passa giorno in cui non imparo un’espressione nuova o l’esatta pronuncia di parole tipo “comprehensive”... vorrei potermi sentire sicura in ogni contesto e potermi mimetizzare tra i mille cittadini americani che hanno altre origini e a cui la gente non chiede piu’ neanche da dove vengono, dando per scontato il loro inglese ormai padroneggiato come la lingua madre.
Intanto abbiamo applicato per la carta verde tramite la Diversity Lottery (qua il permesso permanente di soggiorno si puo’ ottenere con un sorteggio tipo “gratta e vinci”: i fortunati sono tirati a sorte da pacchetti di immigrati della stessa nazionalita’, e le quote vengono decise a seconda dei flussi migratori di anno in anno verso gli Stati Uniti – da un po’ di anni non possono applicare i cinesi, gli indiani ed i messicani per esempio.). Sto poi considerando di tradurre in un libretto tutte le cazzate che ho scritto in questi due anni – ma un blog e’, per antonomasia, forse proprio l’evoluzione della pubblicazione -, che se anche non si tramutera’ in un best seller almeno divertira’ le mie bambine quando, da grandi, ripercorranno il viaggio che i loro genitori un po’ sconclusionati gli hanno fatto compiere presi dall’avventura e dalla voglia di trovare altrove quello che ci mancava in Italia.
Che sia una carriera piu’ riconosciuta o una macchina targata Viva il Toro, qualcosa qua ci ha fatto restare, convinti tra l'altro che ora e' difficile tornare indietro. Ho l'impressione che ovunque finiremmo ci sentiremmo oramai dei disadattati. Conservo comunque sempre il sogno, dopo o durante la pausa americana, di girare il mondo con Luigi e le mie bambine, ispirata dalla storia della mitica coppia di fondatori della Lonely Planet (di cui sto divorando il libro). Da loro ho imparato che non bisogna avere tanti soldi o essere particolarmente hippie per buttarsi all’avventura, basta solo il coraggio di prendere il primo aereo e non accontentarsi mai!